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A proposito di sostenibilità

A proposito di sostenibilità

Ci son mille motivi per cui una persona può decidere di mettere in vendita un capo che ha comprato. Può non andare più bene per un cambio di taglia, può star meno bene di quanto si pensasse dalle fotografie, quel colore non ci sta così bene come si immaginava. Può essere un po’ troppo lungo, un po’ troppo corto insomma potrei andare avanti a fare ipotesi per altre venti righe.

Non nego che le prima volte che vedevo in vendita i nostri capi la sensazione si avvicinava ad un po’ di sconforto. Perché se lo vendi vuol dire che non ti piace, no!? E se non ti piace io cosa posso aver sbagliato?

Ci ho messo un po’ a metabolizzare questa cosa. Ci ho pensato e ripensato e alla fine ho capito che è più che lecito che un capo, acquistato online soprattutto, possa non essere, per le ragioni sopraelencate, uno dei nostri capi preferiti e che allora si decida di cederlo ad altre persone.

Si parla spesso di sostenibilità, penso spesso alla sostenibilità e mi domando sempre che cosa possa fare io, nel mio piccolo mondo, per essere più sostenibile. Per migliorare dove posso farlo.

I principi che stano dietro a tutto quello che vedete qui sui social -e che spero si percepiscano- sono frutto di considerazioni, ragionamenti, discussioni, riflessioni che nel corso degli anni ho affrontato. Nel mio lavoro ma anche nella mia vita di ogni giorno. Oh, se son cresciuta…

Il fatto che un capo non sia “alla moda” ma più che altro abbia invece uno “stile”, la scelta dei materiali, la volontà di starci sempre comodi dentro a questi capi, il non fare grosso magazzino ma prediligere piccoli riassortimenti, il lavorare con “persone” e non con realtà impersonali, il mio adorato packaging senza plastica, persino le buste del corriere in plastica riciclata, la coerenza (che anche se sembra non c’entri c’entra eccome). Son tutti piccoli mattoncini che appoggiati uno sopra l’altro fanno quello che siamo.

Quando ho visto la prima volta il documentario Junk di Matteo Ward e ho visto con i miei occhi le montagne di abiti “buttati” , la famigerata fast-fashion, i fiumi neri da tanto sono inquinati a causa delle lavorazioni senza controllo beh…mi si è stretto il cuore. Io che mi son pure sbattuta per usare i pannolini lavabili a tratti per buttarne meno.

Comunque, tornando a bomba: uno dei lati belli di questa digitalizzazione è che ci ha permesso di metterci in contatto con realtà come la nostra, ha reso possibile un rapporto con chi “fa” un vestito, una borsa, un paio di scarpe. E devo dirvi che se i primi tempi mi faceva strano adesso mi è pressoché impossibile comprare vestiti che arrivano dal nulla. Che non abbiano un nome di chi li ha fatti, che non abbiano un luogo riconoscibile dove sono nati.

E se la vista è quella che attiva il mio interesse verso un qualcosa, son poi il cuore e la testa che me lo fa scegliere.

Perché dietro ad un capo c’è chi lo ha fatto -insieme a tutti i suoi principi- e a me piace che un capo di cui mi infatuo, sia anche fatto da persone che mi piacciono.

Per concludere…

Ciò che conta non è solo l’aspetto esteriore di un capo, ma la sua storia, le persone che lo hanno creato e i principi che lo guidano. Siamo tutti chiamati a riflettere sul nostro impatto sul mondo, e io cerco di farlo nel mio piccolo, cercando di creare qualcosa che vada oltre la mera estetica, unendo sostenibilità, etica e passione. Ogni acquisto, ogni scelta che facciamo, ha un peso. Ed è per questo che, quando un capo non ci rispecchia più, possiamo tutti guardarlo non come un fallimento, ma come un’opportunità di cederlo a qualcuno che lo apprezzerà davvero, continuando a dare valore a ciò che è stato creato con cura e amore. È questa la bellezza di un mondo in cui ci possiamo connettere, condividere e scegliere con consapevolezza.

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